di Francesca Spanò
© Carlotta Casamasima
170 oggetti (scelti tra più di 600), 60 collezioni private, 2 designer, 5 curatori, collaborazioni oltreoceano e ben quattro anni di lavoro sono gli ingredienti di Asia > Amsterdam. Luxury from the Golden Age, in esposizione al Rijksmuseum di Amsterdam dallo scorso 17 Ottobre.
La mostra presenta un percorso fatto di dipinti, porcellane, tessuti e manufatti provenienti, nel corso del XVII e del XVIII secolo, dalle regioni più remote d’Oriente, quelle commercialmente controllate dagli olandesi. E rimarca, contemporaneamente, l’influenza che tali oggetti hanno avuto sullo stile di vita, sui costumi e sulla produzione artistica dei Paesi Bassi.
Il commercio con l’estremo Est, infatti, da una parte favorì l’importazione in Europa di spezie, frutta esotica o baccelli sconosciuti, creando nuove ed esclusive consuetudini, come l’ora del tè; dall’altra, diede vita a un vero e proprio scambio di beni di lusso e a scopo puramente decorativo, che, per mano degli Olandesi, entrarono nelle case dei ricchi europei. Tra il 1600 e il 1700, furono proprio i Paesi Bassi, con la fondazione della Compagnia delle Indie Orientali [VOC, Vereenigde Oost-Indische Compagnie, n.d.r.] e più di 40.000 dipendenti all’attivo, a ottenere il monopolio esclusivo di alcuni dei porti più prosperi di Giappone, Cina, India, mentre ne conquistavano altri (Giacarta, poi ribattezzata Batavia, ad esempio).
“Mentre, con la Cina, i Paesi Bassi non potevano commerciare direttamente, il Giappone è invece un caso molto interessante”, racconta a +31mag.nl Femke Diercks, curatrice della mostra. “La relazione commerciale con il Giappone nacque nel 1609, quando agli olandesi fu concesso l’ingresso gratuito nei porti commerciali del Paese, come dimostra la lettera originale commissionata da Tokugawa Ieyasu a Jacques Groenewegen”. Nonostante i portoghesi fossero arrivati prima degli olandesi, infatti, nel 1640 i giapponesi decisero di chiudere i propri porti commerciali ai paesi occidentali, con eccezione dell’Olanda, cui fu concesso il monopolio del porto di Dejima.
Divenuto tema iconografico ricorrente in molti degli oggetti importati dal Giappone e di stampo tipicamente olandese, lo si ritrova, nella mostra, in due bauli ornamentali provenienti dalla residenza reale Huis ten Bosh, a Den Haag, eccezionalmente prestati dalla casa reale.
I bauli, laccati e perfettamente speculari tra di loro, appartenevano in origine alla Principessa Albertine Agnes, figlia del governatore Frederik-Hendrik van Oranije e Amalia van Solms. Proprio a quest’ultima, spiega ancora Diercks, è attribuito un ruolo di rilievo nella diffusione di uno stile di vita lussurioso legato ai preziosi e ai tessuti provenienti dall’Oriente nel XVII secolo.
Il percorso dedica poi particolare attenzione alla porcellana: “La cosa sorprendente è che nessuno, fino alla fine del 1800, aveva idea di come fosse prodotta. Era quasi un oggetto di culto, ornamentale, come si evince da molti dipinti”, prosegue la curatrice. “Si deve anche tenere a mente che i tempi di commissione erano lunghissimi: un viaggio durava circa sette mesi, quindi ci voleva quasi un anno per avere conferma che un ordine avesse esito positivo”. A livello locale, inoltre, la porcellana ebbe un notevole influsso sulla produzione ceramista di Delft: proprio dalla metà del 1700, gli artigiani olandesi iniziarono a copiare i modelli cinesi e giapponesi, dando vita a una commistione di motivi olandesi e orientali.
La storia, si sa, ebbe però anche un lato oscuro, visibile anch’esso in alcuni dei quadri in esposizione. Insieme a riproduzioni di porcellane – mirabilmente colpite da un’insolita luce – e morbidi tessuti, troviamo anche figure di indigeni, ridotti in schiavitù e ritratti insieme ai ricchi commercianti olandesi. Il ritratto dell’ufficiale Wollebrand Geleynssen de Jongh è un perfetto esempio, specifica ancora Dierks: “Oltre alla sua figura, fiera nell’indossare stoffe orientali, si vede anche qualcos’altro, che rappresenta il rovescio della medaglia di questo periodo storico e che non volevamo fosse tagliato fuori dalla mostra. La peculiarità di queste riproduzioni, poi, sta nel fatto che i pittori, specialmente in una prima fase, non avevano idea dell’aspetto fisico degli asiatici, quindi li ritraevano sulla base del loro immaginario. In questo caso, hanno le fattezze degli africani”, conclude.
La mostra sarà in esposizione nella capitale fino al 17 Gennaio 2016, per poi migrare negli USA presso il Peabody Essex Museum in Salem, ideatore, insieme al Rijksmuseum, dell’esibizione. Una curiosità? I due musei sono gli unici al mondo ad avere un curatore interno specificamente dedicato all’esportazione di arte asiatica.