“Non avrei mai immaginato di trovarmi in una situazione come questa” racconta Kevin Roberson, il giornalista americano arrestato sabato scorso durante il corteo di Pegida a Rotterdam. Roberson, nato in Olanda ma cresciuto negli Stati Uniti si occupa di film making indipendente e realizza lavori sull’Olanda per media internazionali. “Voglio ancora pensare si sia trattato del comportamento inqualificabile di singoli agenti ma l’atteggiamento della polizia olandese non è sempre impeccabile”.
Sentito da 31mag, Robenson ripercorre i momenti del suo arresto e delle ore in cella: “Hanno verbalizzato il falso: io non sono mai arrivato fino al pier, dove aveva luogo il corteo, ma sono stato bloccato molto prima: su questo non possono mentire perché ho lasciato la mia videocamera accesa e filmato tutto”, racconta. “Dicevano non avessi un pass ufficiale, uno di quelli rilasciati dall’NVJ [Nederlandse Vereniging van Journalisten, associazione olandese dei giornalisti n.d.r.] e riconosciuti dalla polizia ma nei miei spezzoni di girato, si sente la voce di una poliziotta che dice ‘ puo’ passare chi in possesso di documento e tesserino stampa valido’. Io ho quello americano, con il quale ho lavorato alle Nazioni Unite. All’ONU si, in Olanda no?” si chiede Roberson sarcastico. “Ho protestato e poco dopo sono stato caricato su un cellulare e portato presso la centrale di polizia”.
Una volta in stato di fermo, si sarebbe acceso un secondo diverbio con gli agenti: “Ho chiesto ripetutamente di poter contattare un avvocato perché non capivo le ragioni del mio arresto. Prima mi è stato risposto che avrei dovuto pagare per la chiamata, poi che il mio legale era stato giá avvertito. Ma come: se non avevo comunicato loro né un nome né un numero di telefono, chi avevano contattato?” Solo per bocca dell’avvocato, Roberson verrà a sapere che il fermo era dovuto al suo rifiuto di eseguire degli ordini impartiti dall’autorità. Ossia una versione diversa da quella poi resa dal portavoce della polizia di Rotterdam alla stampa. Il racconto entra a questo punto nella fase piú inquietante, con la concitata descrizione delle violenze: “Dopo un’ora, le 20 persone fermate con me erano state rilasciate ma io ho rifiutato di muovermi: non me ne vado se non correggete il verbale che avete redatto, ho detto” Sul verbale, la polizia aveva riportato una serie di inaccuratezze : “Non era una costruzione veritiera.” prosegue il giornalista “a quel punto l’agente che doveva scortarmi fuori dall’edificio mi ha detto di andarmene oppure mi avrebbero rimosso con la forza. Al mio ennesimo rifiuto, mi ha cinto il collo con un braccio e ha tentato di strangolarmi. Io gridavo “mi stai strozzando come con Mitch Henriquez” ” in riferimento all’antillano morto la scorsa estate a Den Haag per soffocamento, durante un fermo di polizia “L’agente non mollava la presa e a lui se ne sono aggiunti altri 2. Uno mi ha tolto gli occhiali e afferrandomi per i capelli mi ha scaraventato a terra, sbattendola con violenza al suolo. Un altro mi ha colpito con un pugno alle spalle.” Momenti di terrore, racconta ancora il giornalista, terminati con la firma del verbale finalmente corretto. Roberson ora vuole giustizia: “Una situazione di questo tipo è assolutamente intollerabile; io chiedevo solo di poter svolgere il mio lavoro e pretendevo il rispetto dei miei diritti”.
La riflessione del giornalista sull’accaduto e’ amaro: “Certo non siamo ai livelli degli States ma la polizia, da queste parti, ha seri problemi nell’approcciare il dissenso” dice. “Non ero mai stato mal menato dalle forze dell’ordine olandesi prima d’ora ma ero stato in altre occasioni oggetto delle loro attenzioni. Identificazioni e schedature senza ragione mi erano già capitate. Forse perché vado a documentare i cortei e non sono bianco”? Alla solidarietá del partito NIDA di Rotterdam, che ha presentato un’interrogazione al sindaco, si è aggiunta quella di un deputato che gli ha comunicato intenzione analoga in parlamento.