CoverPic: Un gruppo di partigiani e partigiane olandesi nei pressi di Dalfsen nel settembre 1944 | Author: unknown | Source: Wikipedia | License: CC 1.0
di Giuseppe Menditto
Oggi 5 maggio si festeggiano i 75 anni della liberazione (Bevrijdingsdag) olandese. Rispetto alle vicende che coinvolgono Spagna, Francia e Germania, un capitolo poco conosciuto è quello che riguarda la presenza antifascista tra gli emigrati italiani nei Paesi Bassi.
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Come ricorda Daniela Tasca, giornalista e ricercatrice che lavora da tempo sulla questione dell’emigrazione italiana nei Paesi Bassi col progetto 1001 Italianen (il cui libro è scaricabile a questo link) il disordine post primo conflitto mondiale, le nascenti lotte sociali e la nascita del regime fascista sono motivi più che validi per scegliere di emigrare nel nord-Europa piuttosto che oltreoceano.
L’emigrazione italiana in Olanda affonda le sue radici nel Medioevo. Ma tra la fine dell’Ottocento e la seconda guerra mondiale le tre categorie di artigiani italiani più numerose erano quelle degli spazzacamini piemontesi e ticinesi, i gelatieri veneti e toscani e i terrazzieri friuliani.
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Un’emigrazione poco politicizzata
A differenza del Belgio, però, dove l’emigrazione italiana è sempre stata politicamente caratterizzata dalla presenza dei tanti esuli socialisti, comunisti e in parte anarchici, nei Paesi Bassi la politica sembra essere meno coinvolta.
Se almeno sulla carta il fascismo cerca di fermare l’ “emorragia” di lavoratori verso l’estero, ben presto nei Paesi Bassi le istituzioni del regime affiancano quelle diplomatiche: anche se la presenza italiana è ridotta rispetto a Belgio e Germania, vengono aperte scuole ad Amsterdam, Arnhem, L’Aia, Rotterdam, Heerlen e Maastricht. Nel 1932 viene inaugurata la prima scuola italiana a Heerlen e all’Aia viene fondata la Casa del Fascio che ospita la scuola elementare Bruno Mussolini.
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Le “Case” italiane svolgono attività ricreativa e didattica gratuita. In estate i figli degli emigrati partono per le colonie vestiti da marinaretti con tanto di saluto alla bandiera e manina alzata e raggiungono le spiagge della riviera romagnola partendo in treno da Amsterdam.
Durante la guerra gli emigrati italiani in Olanda sono costretti a inventarsi lavori di varia natura per poter sopravvivere: chi fabbrica vasellame, chi vende bomboloni e frittelle per strada, chi presta la propria manodopera presso le fattorie locali.
Una massa apolitica di lavoratori silenziosa e prudente che non vuole dare nell’occhio soprattutto dopo l’alleanza stretta dal fascismo con Hitler e l’occupazione nazista dei Paesi Bassi. Non bisogna dimenticare, scrive ancora Tasca, che fino al 1927 lo stesso Mussolini era visto di buon occhio persino dai liberali e conservatori olandesi.
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Più che per scelta, per gli emigrati italiani il tesseramento al partito fascista è un obbligo sociale che porta qualche piccolo beneficio. Soprattutto i gelatieri possono contare su qualche dose di zucchero o di uova in più perchè i tedeschi sono loro clienti. Molti emigrati chiedono invece un po’ più di carbone o il permesso di utilizzare la radio.
Un caso paradossale ed emblematico è quello del giovane Willem Bonasso di Aalten, che sfrutta tale licenza per ascoltare segretamente Radio Londra insieme ai vicini di casa.
Nella maggioranza dei casi, però, gli atti di resistenza si limitano a un più o meno velato boicottaggio del sistema nazista: alcuni gelatieri si rifiuteranno di appendere il cartello “vietato l’ingresso agli ebrei” sulle proprie vetrine.
Breve storia dell’antifascismo militante nei Paesi Bassi
Ma non sempre. Ed è qui che inizia la nostra storia, una vicenda fatta di nomi e volti troppo presto dimenticati. Una vicenda ancora povera di studi e ricerche ma che intreccia scelte di vita individuali al fianco dei partigiani e delle partigiane olandesi.

Un primo nome è sicuramente quello del maestro terrazziere di Delft Remigio Lobbia che rifiuta d’iscriversi al partito fascista, anche a costo di perdere commissioni e denaro. Figlio del fotografo Giovanni, dopo aver trascorso gran parte della propria esistenza a Delft, l’emigrato originario di Asiago muore nella cittadina olandese nel dicembre del 1971.
Luciana Rescia, nipote di Giuseppe Pianezza – sindacalista comunista dai modi bruschi rifugiatosi ad Amsterdam negli anni ’20 e qui meglio conosciuto come Pippo – è una militante antifascista. Moglie di Jan Bokma, funzionario del Soccorso Rosso Internazionale, organizzazione connessa all’Internazionale Comunista, Luciana procura documenti “olandesi” agli antifascisti italiani in fuga. Passaporti falsi che a volte la donna porta personalmente anche a Parigi.
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Mario Montessori junior, nipote della celebre pedagoga Maria, si rifugia con i fratelli a Baarn. Negli anni ’40 Montessori rifiuta la coscrizione e si unisce alla resistenza di Amsterdam come corriere di armi, munizioni e microfilm da e per il parco nazionale Biesbosch, via di accesso per l’estero.

Anche Antonio Federico (Fred) Carasso partecipa dapprima con circospezione e poi sempre più apertamente alla resistenza. A Torino Carasso era stato un illustratore de L’Ordine Nuovo, la rivista fondata da Gramsci nel 1919. Esule prima in Francia dal 1922 e poi in Belgio, arriva ad Amsterdam dove lavora come creatore di manichini.
Anche se la legge olandese del 1934 stabilisce la necessità di un visto di soggiorno per tutti i lavoratori stranieri dipendenti – cosa che costringe molti emigrati a lasciare il Paese o farsi imprenditori a propria volta – Carasso è talmente abile nel suo lavoro da far raddoppiare il fatturato dell’azienda per cui lavora e costringe il suo datore a strappare un accordo alle autorità governative.
Il direttore della ditta Michels si rivolge direttamente al ministro e lo convince a concedere un permesso speciale al giovane torinese, dietro la promessa dell’abbandono dell’attività politica. Spiato e segnalato già in Italia, Carasso mantiene l’impegno solo fino allo scoppio della guerra. Grazie al favore di una giunta progressista ad Amsterdam, negli anni ’30 l’artista non solo non partecipa mai alle attività della Casa d’Italia ma prende attivamente parte alla resistenza olandese.
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Nel dopoguerra Fred Carasso torna a dedicarsi all’arte, realizzando molte opere scultoree insieme a monumenti dedicati ai caduti in varie città olandesi.
Da non dimenticare è il sacrificio del giovanissimo Enrico Marcolina, figlio del terrazziere Giovanni, che muore a soli 22 anni combattendo al fianco dei partigiani olandesi a Den Bosch.
L’ultimo, ma forse più significativo esempio di antifascismo militante nei Paesi Bassi, è quello dei Talamini, una famiglia di gelatieri con punti vendita in mezza Olanda. Pietro Talamini utilizza il retro della sua gelateria a Dordrecht come via di fuga.
Ennio Talamini, come ricorda la nipote Cecilia, riesce a salvare una quarantina di prigionieri italiani internati e nasconde per quasi un anno ex-soldati scampati ai rastrellamenti e fuggiti dai campi di lavoro di Amersfoort e Wierden sia presso casa sua a Dordrecht sia presso varie famiglie olandesi nelle campagne della regione. Dopo l’armistizio di Cassibile e la nascita della Repubblica Sociale di Salò, Talamini non solo nasconde molte soldati ma provvede anche al mantenimento delle loro famiglie e a gestire i rapporti con gli alleati.
Non bisogna dimenticare che i nazisti consideravano gli olandesi come “fratelli ariani” e sono stati meno spietati nei Paesi Bassi rispetto ad altre nazioni occupate, almeno all’inizio. La conformazione del territorio, la mancanza di foreste e montagne e la densità di popolazione hanno reso più difficile nascondere attività illecite; inoltre i Paesi Bassi erano completamente circondati da territorio controllato dai tedeschi, senza vie di fuga. Il coinvolgimento nella resistenza significava l’immediata esecuzione.
Quello dell’antifascismo italiano in Olanda è un puzzle tanto più difficile da ricomporre non solo per la scomparsa dei suoi protagonisti ma anche per un sua dimensione doppiamente segreta: essere emigrati antifascisti significava agire con ancor maggior discrezione in un Paese straniero e cercare di manifestare il meno possibile la propria allergia a una cultura italiana stereotipata come quella propagandata dal regime senza cadere preda della delazione dei propri compaesani.