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Ad Amsterdam non c’è più spazio per arte e cultura non commerciali

macchi from Netherlands, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons

Gli incubatori per finanziare l’arte sono destinati a subire pesanti tagli, scrive Het Parool e sebbene il finanziamento alla cultura fosse una delle punte di diamante della giunta comunale di Amsterdam, l’anno scorso il budget ha subito il pesante taglio di 3,5 milioni di euro e ora, probabilmente, subirà un ulteriore taglio di un altro milione di euro.

Il risultato, dicono in un pezzo d’opinione sul portale del quotidiano di Amsterdam, gli artisti della Platform Beeldende Kunst (BK) è che l’incubatore potrebbe sparire e con esso anche i broedplaats, gli spazi per gli starters e per gli artisti indipendenti sostenuti fino ad oggi dal comune.

“La maggior parte dei sessanta incubatori di Amsterdam sono ospitati solo temporaneamente negli edifici di proprietà della municipalità: circa un quarto di loro chiuderà nei prossimi due anni. Dopo questi tagli, non ci sono soldi per “svilupparsi” ulteriormente e creare nuovi posti per gli artisti”. Secondo gli artisti di BK, 20 anni di gentrificazione e temporaneità per i progetti rischiano di aver tolto il terreno all’arte indipendente.

“Forse la politica è diventata insostenibile, perché nessuno sa esattamente a cosa servano i broedplaats”, scrivono ancora gli artisti. Tutti ne parlano, tutti vogliono promuoverli ma alla fine, riassumono gli artisti, sono altre le logiche alla base.  “Questa mancanza di visione può essere vista anche nell’approccio adottato da chi promuove questi spazi, le controparti che affittano la proprietà dal comune e poi la affittano agli artisti. Hanno iniziato con entusiasmo ad attrarre nuovi gruppi di inquilini oltre ad artisti e creativi: start-up, imprenditori culturali, acceleratori di innovazione. Al giorno d’oggi tutto può essere etichettato come “creativo“.

Questa ricerca di inquilini più ricchi è comprensibile nella crisi attuale. In quale altro modo i gestori possono mantenere in vita i broedplaats? Ma la domanda vera è: a chi dovrebbero essere destinati questi immobili comunali?”

“Nel corso degli anni, è diventata la norma per artisti e creativi trasferirsi in un nuovo “quartiere in via di sviluppo”. Ad esempio, lo stesso gruppo che gestisce gli immobili attira di quartiere in quartiere creativi prevalentemente giovani, a volte internazionali, generalmente bianchi e altamente istruiti. Questa rappresentazione e temporalità distorte rendono quasi impossibile un legame duraturo tra il quartiere e l’incubatore creativo. In precedenza, questo trasferimento poteva ancora essere giustificato con il pretesto di “salire di livello” e “creare opportunità per i nuovi giovani talenti”, ma questo argomento si perderà con i tagli.

Ma la domanda, si chiedono gli artisti, è se l’operazione di svendita di immobili da parte della municipalità, ha la speranza di andare da qualche parte. “Se continua così, in città non rimarranno artisti o organizzazioni culturali e sociali”. Solo start-up senza legami con la città rimarranno a galla.

E’ possibile, ovviamente, una città senza arte. Una città senza riguardo per la coesione sociale, spazi di vita e di lavoro a prezzi accessibili . Una città dove la creatività e la fantasia sono ridotte a un uso puramente economico. La giunta di sinistra ha il dovere quindi di dire alla sua città se questa è la scelta politica.

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