Tropenmuseum, part of the National Museum of World Cultures, CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons
di Harpreet Soondh, Manpreet Kaur e Agnese Soverini
Sharda Bhaganbali, un’impiegata di 47 anni, da oltre 20 anni risiede nei Paesi Bassi: “i miei familiari vivevano qui e dopo appena un mese dal trasferimento, hanno combinato il mio matrimonio”. Anche se integrata nella cultura olandese, quella indostana non l’ha persa del tutto: “come gli Hindu, festeggio anch’io il Diwali, faccio Pooja (un rituale di adorazione rivolto a ognuno dei deva induisti), a casa ho un mio piccolo Mandir (tempio). Quando vado nel Punjab indosso il Suit (un vestito tradizionale), al Mandir mi cospargo il capo col Sindoor (polvere rossa) e il Mangal Suttar, segni identificativi per chi è già sposato. Quando sono in Suriname indosso gli stessi abiti che porterei nei Paesi Bassi. Mi adatto molto alle situazioni”, racconta la donna a 31mag.
I Paesi Bassi hanno una popolazione totale di circa 17 milioni di abitanti. Di questi, gli indiani del Suriname (Sarnami Hindustani, come si definiscono) sono circa 220.000 persone e sono concentrati soprattutto nelle quattro grandi città del Randstad – Amsterdam, Rotterdam, Utrecht e L’Aia.

“La diaspora indiana ha coinvolto 25 milioni persone in tutto il mondo. Anche nei Caraibi, nella Guyana e in Giamaica”, spiega Chan Choenni, professore che si occupa di migrazione indostana alla Vrije Universiteit di Amsterdam. Il 27,4% della popolazione surinamese ha origine indiane.
Oggi i Paesi Bassi ospitano la seconda popolazione di origine indiana in Europa. Al suo interno ci sono due gruppi molto distinti: i PIO emigrati dopo l’indipendenza del Suriname nel 1975 – le cui radici sono principalmente nelle regioni nord-indiane dell’Uttar Pradesh e del Bihar – e gli indiani non residenti (NRI) provenienti direttamente dall’India ed immigrati dopo il 26 gennaio 1950.
È difficile stabilire esattamente quando gli indiani hanno iniziato a emigrare nei Paesi Bassi. I contatti tra l’India e i Paesi Bassi risalgono a molti secoli fa. Probabilmente un gruppo di sikh è arrivato nell’Olanda occupata dai tedeschi nel giugno del 1943 su iniziativa di Netaji Subash Chandra Bose – durante la Seconda guerra mondiale capo politico di un governo filo-giapponese alleato dell’Asse – dopo un incontro con Hitler. Dopo essersi fermati a Dresda, molti si sono spostati nel nord dei Paesi Bassi. Alcuni hanno proseguito per il sud della Francia.
Certo è che l’emigrazione degli Indostani nei Paesi Bassi è in realtà un fenomeno del secondo dopoguerra.
“Rispetto a chi proviene dal Punjab – ci racconta Sharda – gli indo-surinamesi sono più individualisti, meno parsimoniosi e meno dediti alla famiglia. Anche la cucina è diversa: meno speziata di quella indiana, quella indo-surinamese non può rimanere senza roti ed è maggiormente mischiata con cibi di origine africana”.

A differenza di quanto si potrebbe pensare, la prossimità etnica e culturale con i cugini indiani non è stata un fattore di avvicinamento e integrazione. “In passato forse sì” spiega ancora Sharda. “Quando è iniziata la diaspora indiana e i Paesi Bassi sono diventati una delle mete più ambite, gli indo-surinamesi erano onorati di vivere con i cugini provenienti dal Bharat, la mitica madrepatria. I rapporti hanno iniziato a deteriorarsi quando la comunità indo-surinamese con passaporto olandese si è sentita sfruttata come una sorta di gigantesca agenzia matrimoniale perché offriva un’ottima opportunità per la naturalizzazione“.
E da lì i rapporti tra le due comunità hanno iniziato a freddarsi irreversibilmente.
Come sono giunti gli indiani nel Suriname?
Il 5 giugno 1873 la nave Lalla Rookh, che prende il nome da una principessa, salpa dall’India e tre mesi dopo approda sulle coste del Suriname.

È solo la prima delle 64 navi che in tutto trasporteranno 34 mila persone da impiegare nelle piantagioni. Lalla Rookh “è diventata un simbolo per gli Indostani” – spiega Choenni – e ha dato anche il nome a un’omonima associazione per l’integrazione degli indiani in Olanda.
Tutto è iniziato nel 1863, quando in Suriname è stata abolita la schiavitù: come già successo nella confinante Guyana, i latifondisti erano preoccupati per il futuro dei propri appezzamenti. Chan Choenni ci spiega che a causa dell’abolizione della schiavitù i proprietari delle piantagioni di caffè e zucchero avevano bisogno di trovare nuova manodopera per i propri campi. Al tempo l’India era una colonia dell’Inghilterra. Inghilterra e Paesi Bassi conclusero un accordo relativo al trasferimento degli indiani in Suriname.
Conosciuti localmente con il termine olandese Hindoestanen, i nuovi arrivati erano noti anche come Girmiyas, parola che si riferisce agli accordi che i lavoratori dovevano sottoscrivere, e che significa per l’appunto “qualcuno con un contratto”.

Una volta scaduto il contratto temporaneo, due terzi dei 34 mila lavoratori sono rimasti in Suriname e un terzo è tornato in India con i propri risparmi, pari a metà del salario. Choenni spiega che “all’epoca il Suriname aveva una popolazione scarsa e il governo, tenuto conto dell’instancabilità e del buon grado di istruzione degli indiani, ha pensato di usarli per ripopolare il Paese. Gli Indostani hanno ricevuto la terra gratuitamente e perciò si sono stabiliti lì”.
Inoltre, secondo Choenni, “i Paesi Bassi, a differenza di Inghilterra o Francia, sfruttavano le colonie per motivi di lucro ma non erano interessati a imporre la propria cultura”. Per questo hanno concesso agli indiani di mantenere la propria. La popolazione è aumentata rapidamente ed è così che gli Indostani sono diventati il gruppo più consistente in Suriname, insieme a quello degli afrodiscendenti.
Come sono arrivati gli Indo-Surinamesi nei Paesi Bassi?
Ci ricorda Choenni che “gli Indostani in Suriname erano politicamente marginalizzati. Gli indosurinamesi erano protetti dal governo olandese contro gli afrodiscendenti e altri gruppi. Ma tanti, però, sono migrati in Olanda, avendone la possibilità legata alla nazionalità. In Olanda hanno cercato di mantenere il proprio gruppo etnico intatto, come cinesi e giapponesi. Una maggiore integrazione si vede solo a partire dalla seconda generazione. Se nella prima solo 10% riusciva a integrarsi, nella seconda si arriva quasi a 1/3 della popolazione”, ci ricorda il docente.
I Paesi Bassi erano una terra promessa, un paradiso per la maggior parte degli indo-surinamesi.
Sharda ci ha confidato un aneddoto personale: “quando vivevo ancora in Suriname, mia cognata, di ritorno dai suoi viaggi nei Paesi Bassi, ci portava in dono cioccolato, vestiti e mele che per fortuna non dovevo più dividere con fratelli e sorelle perché erano già sposati. Così è cresciuta in me l’idea dell’Olanda come un paradiso. Quando poi mi sono trasferita – in un freddissimo novembre in cui per la prima volta ho amato il gelo – ho capito quanto fosse impegnativa la vita qui“.
A differenza di Sharda, Pravini Baboeram è nata nei Paesi Bassi e lavora in un’organizzazione no-profit che si concentra sulla diversità e l’integrazione. È anche artista e attivista. Ci ricorda come il clima sia davvero un elemento importante: “dal mio punto di vista, penso che il clima influenzi davvero l’atteggiamento delle persone, perché quando fa caldo gli individui sono più rilassati e quando fa freddo sono maggiormente irritabili. Anche la mentalità è più rigida qui in Olanda; in Suriname è tutto più easy. Penso che la conseguenza è che a volte le cose procedano più lentamente in Suriname mentre l’Olanda è un posto più veloce. Il mio modo di fare le cose è più olandese, sono abituata a sbrigare le mie faccende velocemente invece di rilassarmi, ma i valori induisti e indiani sono quelli che porto con me ogni giorno”.
Differenze climatiche a parte, come convivono le due anime – indiana e surinamese – in chi vive da tempo nei Paesi Bassi?
Comunità indo-surinamese vs indiana?
I due gruppi di indiani nei Paesi Bassi hanno una base culturale comune.
Il sistema indiano del “matrimonio combinato” non ha perso completamente la sua popolarità all’interno della comunità indo-surinamese. Sharda, nata in Suriname, racconta a 31mag: “I miei familiari vivevano qui e dopo appena un mese dal trasferimento, hanno combinato il mio matrimonio e così ho deciso di rimanere qui. In Suriname funziona come in India. E il matrimonio viene celebrato secondo il rito hindu”.
Inoltre, entrambe le comunità condividono i programmi culturali di noti artisti indiani di musica classica e danza e l’amore per i film delle stelle di Bollywood. Chan Choenni spiega: “Bollywood ha avuto un grosso impatto sulla cultura indostana. India, Suriname e adesso anche i Paesi Bassi amano molto le pellicole di Bollywood. Quei film influenzano la cultura e comportamenti ed è qualcosa che arriva direttamente dall’India.”
Eppure c’è una barriera sottile e invisibile che divide le due comunità.
Per gli indosurinamesi l’India ha un significato speciale, una provenienza mitica. Tutti cantano Sare jahhan se accha Hindustan hamara (la mia India è migliore del resto del mondo). La bandiera indiana, Gandhi, Nehru sono icone che appartengono a tutti gli indiani a prescindere dalla propria provenienza.
Ma a ben vedere, “anche la cultura è diversa: noi indo-surinamesi abbiamo elementi caraibici, l’indiano ha vere e proprie caratteristiche asiatiche”, dice Pravini. L’influenza africana si vede anche in altri aspetti della cultura come nelle danze tipiche surinamesi, spiega invece Sharda.
Le due comunità differiscono anche per il loro rapporto con la società olandese: gli indo-surinamesi sono più integrati e politicamente coinvolti, sia a livello locale che nazionale.
Una delle ragioni potrebbe essere la barriera linguistica. Rispetto agli indiani, gli indo-surinamesi comunicano in olandese, o in Sarnami Hindustani, la lingua che si parla in Suriname insieme allo Sranan tongo (una lingua creola derivata dall’inglese).

Oltretutto il governo olandese ha concesso agli indo-surinamesi canali media ufficiali. La comunità ha a disposizione due emittenti – OHM (Hindu Broadcasting Corporation) e NMO (Netherlands Muslim Broadcasting) – che usa per mantenere viva la loro identità indiana. Tanja Malti Jadnanansing, per esempio, è una politica olandese ed ex presentatrice televisiva.
Al di là delle differenze linguistiche, però, entrambe le comunità condividono usi e tradizioni secolari e le osservano in occasione di feste e lutti.
La religione maggioritaria tra gli indo-surinamesi è l’induismo. Le festività di Diwali e Holi (festa annuale dei colori che si organizza in primavera) si celebrano anche nei Paesi Bassi. Ma è proprio nell’organizzare queste festività comuni che a volte si nota la divisione tra la comunità indiana e quella indo-surinamese. A tal proposito Pravini racconta: “A volte gli indiani ci guardano dall’alto al basso perché siamo i discendenti degli schiavi in Suriname. È proprio questa gerarchia a impedire la connessione.”
Pravini è cofondatrice del festival estivo di Holi e ha raccontato di una discussione avuta con un altro fondatore indiano: “Mentre organizzavamo l’evento mi ha detto: ‘Che cosa ne sai tu? Tu non sei veramente indù, io invece vengo dalla Terra d’origine’.
Dietro le presunti origini mitiche, un’idea di superiorità da rivendicare e sbandierare.
La vita olandese: tra presunta integrazione e seconde generazioni
A parte le differenze tra le due comunità indo-discendenti, un capitolo a parte è quello che riguarda i rapporti tra indo-surinamesi e olandesi. Ci racconta ancora Pravini: “penso che nei Paesi Bassi si faccia sempre parte di una minoranza, nel senso che frequentando gli ambienti bianchi soprattutto quelli della mia generazione, quando erano ancora poco gli indo-surinamesi nelle scuole superiori, mi sembrava di non piacere a nessuno e di essere sottostimata, come se dovessi spiegazioni costantemente. Questo non è mai successo a mio marito perché è cresciuto in una società multiculturale in Suriname, dove tutti si conoscano, non fai parte di una minoranza, ma sei parte di questa società influenzata da una storia coloniale”.
Pravini ci riporta i racconti di amici e familiari: “in Suriname in generale si impara a conoscere i Paesi Bassi attraverso una visione coloniale, si apprende molto poco sulla schiavitù. Ma qualcosa sta cambiando: ora si parla di decolonizzazione e di educazione, raccontando le storie di persone che hanno combattuto contro la colonizzazione”.
Un esempio è quello dell’eroina Janey Tetary. Attiva nella resistenza in Suriname, era a capo della rivolta scoppiata nel 1884 ed è stata uccisa a soli 24 anni. La sua storia è stata occultata per decenni dagli olandesi colonizzatori. Quando qualche anno fa è nato un movimento – di cui Pravini ha fatto parte – per rivendicare la centralità di Tetary, la comunità indù ha fatto resistenza. Alla fine però la statua della giovane rivoluzionaria è stata eretta al posto di quella del colonizzatore olandese Barnet Lyon, è stat composta una canzone in suo onore e il comune di Amsterdam ha deciso di intitolarle una strada.
Su come si relaziona con la società olandese gli indo-surinamesi nati nei Paesi Bassi è difficile da generalizzare: c’è chi vuole immergersi nella cultura olandese magari nascondendo in parte le proprie origini e chi, a causa forse di un atteggiamento ancora esotizzante e neo-coloniale degli olandesi bianchi, è costretto a rifugiarsi nella propria comunità dove si è al sicuro e non c’è bisogno di spiegare nulla, dove le persone affrontano le stesse sfide.
Fenomeni complessi con così tante comunità coinvolte e nessuna soluzione. Nessuna delle persone intervistate si sente più “olandese”, “indo-discendente” o “indo-surinamese”, come se si “volesse più bene” a una propria identità piuttosto che a un’altra. Si tratta invece di scelte, valori, contesti, abitudini, convenienze e curiosità reciproche. Al di là di ogni retorica.